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Messaggio da F.Calabrese » mercoledì 12 aprile 2023, 15:14

<<RIFLESSIONI DI UN EX AUDIOFILO di Diego Nardi

Il sottoscritto è stato un audiofilo convinto, ed ha attraversato le relative fasi: dalla semplice scoperta della stereofonia, al passaggio graduale alla così denominata “high end” ed all’incontro con i cosiddetti “audiofili”; dalla lettura entusiasta della stampa di settore, all’apprendimento di un po’ della tecnica delle apparecchiature, fino ad una lettura sempre più critica, ed infine alla presa di coscienza di cosa sia realmente questo audio d’elite. Vale forse la pena proporre in modo organizzato alcune considerazioni su come si comportino gli audiofili..

Chi scrive si considera persona razionale e pragmatica, da alcuni considerata cinica. Può darsi, comunque gli è occorso un certo numero di anni per comprendere la mentalità degli “audiofili”. Ha provato a farne parte, ma col tempo si è accorto che ciò, anziché promuovere e coadiuvare la passione per la musica, la ostacolava; sì che, alla fine, se ne è affrancato. Non ha, per fortuna, abbandonato l’ascolto della musica; ma le uniche apparecchiature conservate tra le tante possedute, alcune anche molto costose, sono vecchiotte e poco quotate nei circoli high end. Ciò non ostante, formano un sistema dal suono diretto e privo di orpelli, godibile con tutti i dischi, che apparati sulla carta superiori, e dal blasone di gran lunga più prestigioso, gli avevano negato. Ad ogni modo, il punto di questo modesto pezzo non sono le apparecchiature, ma i comportamenti. Dopo tanti anni, pareva interessante provare a ragionare su alcuni fatti ricorrenti, nel tentativo di razionalizzarli e di trovarvi (forse!) un qualche motivo di riflessione.

L’impianto audio. Mezzo o fine?

Se chi scrive interrogasse una persona non addentro allo specifico settore hi-fi circa il motivo di esistere di un apparato audio, questi -probabilmente con l’espressione maravigliata di chi si è sentito domandare un’ovvietà- risponderebbe più o meno “Ad ascoltare la musica, si capisce!”. Un audiofilo, d’acchito, probabilmente risponderebbe anch’egli così; ma, per lui, non è così un’ovvietà.

L’importanza che l’impianto audio riveste per il “vero” audiofilo, va molto oltre il mero aspetto funzionale; anzi, ci si potrebbe spingere ancora più in là ed affermare -senza soverchia tema di essere smentiti dai fatti, anche se a rischio di tirarsi addosso qualche contestazione- che per la maggior parte degli audiofili, l’aspetto funzionale principale non sia affatto l’ascolto di musica. Lo testimoniano diversi fatti. Uno è l’importanza attribuita alla “qualità” dell’incisione, spesso preponderante rispetto al contenuto musicale stesso. La questione di “come” un disco è inciso, piuttosto che “cosa” vi sia inciso, in taluni casi scava un abisso incolmabile tra le preferenze discografiche dell’audiofilo e quelle dell’appassionato di musica; cosa che autorizza a ritenere nettamente separate le due categorie, ed ha nei fatti creato negli anni una particolare categoria di dischi ed addirittura fatto nascere delle etichette discografiche specializzate (anche codesta Rivista ne ha fondata una) nel proporre produzioni adatte a mettere alla prova e dimostrare le capacità di un impianto di riproduzione. Chi scrive ha reperito dischi dichiaratamente orientati a questo risalenti fino agli anni Cinquanta, e non esclude (anzi, è quasi certo) che ne siano esistiti in tempi ancora anteriori; a riprova del fatto che la netta distinzione tra appassionato di musica ed appassionato di riproduzione non solo è assodata, ma è anche di vecchia data.

Un altro fatto che lo scrivente ha notato, strettamente connesso con il precedente, è che gli audiofili, fra di loro, non parlano mai di musica. Di più: gli argomenti di cui prediligono discorrere, in genere, verrebbero considerati di scarsissima importanza, o addirittura incomprensibili, da un appassionato di musica. Il sottoscritto, quando conversava con altri audiofili, confessa che gli argomenti di tali conversazioni spesso non gli erano affatto chiari! Lo stesso contenuto musicale di detti dischi si è evoluto nel tempo; quelli degli anni Cinquanta e Sessanta proponevano programmi che potremmo definire “di intrattenimento”, in genere si trattava di grandi orchestre, di stampo sinfonico o jazz, che riproponevano sontuosi arrangiamenti di brani classici apprezzati dal grande pubblico, o di standards, o di brani da hit-parade; erano di gradimento di tutta la famiglia, ed i musicisti coinvolti erano spesso di altissimo livello. Tanto che facilmente venivano acquistati anche da utenti non specificamente appassionati del settore; i migliori di questi dischi sono assai godibili ancor oggi.

Quelli degli anni Settanta e Ottanta proponevano perlopiù ancora programmi simili, ma con artisti di livello nettamente inferiore, tranne qualche eccezione. Negli ultimi venti anni poi si è assistito ad una involuzione, con gruppi sempre più piccoli, arrangiamenti sempre più scarni, e scelte musicali sempre più inadatte all'”intrattenimento”. Questi dischi, mogli e figli non li ascolterebbero mai. Con tali scelte, evidentemente l’audiofilo intende isolarsi dal mondo esterno; si potrebbe sospettare che intenda isolarsi dal mondo reale, in una curiosa contraddizione con la dizione stessa “alta fedeltà”, che presupporrebbe l’aderenza del riprodotto ad un modello tangibile.

Evidentemente la funzione che l’audiofilo attribuisce all’impianto audio non è quella di riprodurre musica, ma qualcos’altro -che allo scrivente in parte sfugge-, forse e solo forse presente sui dischi. L’impressione più volte riportata da chi scrive è che questo “qualcos’altro” sia una categoria a sè stante, che gli audiofili cercano di costruire ad immagine e somiglianza dei loro desideri. Ecco il senso del titolo di questo paragrafo: se il fine dell’impianto non si concreta nella riproduzione della musica, esiste la possibilità che non stia nemmeno nella “riproduzione” di qualcosa, ma che si chiuda su sè stesso. Ecco anche perché all’inizio si è affermato che la funzione della riproduzione della musica, per un audiofilo, “non è così un’ovvietà”.

Il sottoscritto non è affatto convinto che gli audiofili medesimi abbiano una risposta convincente e definitiva a tali dubbi, e forse essi non sono nemmeno troppo interessati a trovarla. Apparentemente preferiscono perpetuare un relativismo dove chiunque può affermare tutto ed il contrario di tutto, persuasi -non del tutto consciamente, o, se sì, non lo vogliono ammettere- che, diversamente, il giuoco finirebbe.

Strumento o giocattolo?

Molti indizi ricavabili osservando l’atteggiamento degli audiofili portano a ritenere che essi intrattengano un rapporto di tipo ludico col loro apparato. Ad esempio, uno di questi indizi è il loro amore per i cavi e gli accessori. Alcuni di questi -la maggioranza, ad esser sinceri- appaiono, se si cerca di osservarli con obiettività, veramente difficili da giustificare sul piano strettamente funzionale. I princìpi in base ai quali verrebbe sostenuta la loro efficacia sono spesso oscuri e spiegati in modo poco convincente; inoltre la loro realizzazione appare molte volte cervellotica, e la loro complicazione o scomodità, di uso od installazione, francamente non in linea con gli scopi che si prefiggerebbero. Tuttavia, gli audiofili dimostrano di non saperne fare a meno e sono disposti a sborsare cifre decisamente prive di legame al loro valore intrinseco, pur di entrarne in possesso; questo, anche quando non ne hanno compreso il funzionamento. Spesso, peraltro, chi scrive ha notato che chi li aveva acquistati li ha adoperati solo per un po’ per poi abbandonarli, formando col passare del tempo delle sorte di strane collezioni di “alchimie moderne”; praticamente tutti i “veri” audiofili incontrati negli anni dal sottoscritto ne possiedono una.

Visto che gli audiofili stessi si servono di argomentazioni traballanti per giustificare, sul piano funzionale, l’acquisto a sì caro prezzo di simili oggetti, dev’ esservi una spinta di altro tipo al loro possesso. Chi scrive ha tratto la conclusione che la motivazione più plausibile sia l’aspetto ludico. Ciò oltre tutto collima bene con l’argomento sopra trattato: se ciò che rende desiderabile l’impianto audio non è la sua capacità di riprodurre musica, che interessa agli audiofili in misura tutto sommato marginale, allora è molto probabile che sia la possibilità di giocarvi. Ammettendo questo, tutto quadra: ogni accessorio moltiplica le possibilità di giuoco, senza la necessità di stravolgere ogni volta elementi vitali. Ecco allora anche la giustificazione al prezzo: quest’ultimo viene valutato non in rapporto al valore intrinseco dell’accessorio, ma in confronto con la spesa necessaria all’acquisto di un nuovo apparato.

Il caso dei cavi, all’occhio di chi scrive, appare particolarissimo ed, a suo modo, geniale nei suoi addentellati commerciali. All’inizio degli anni Ottanta in Occidente -e qualche anno prima in Giappone- ci si è resi conto che i cavi fino ad allora utilizzati per collegare gli elementi dell’impianto audio -piattine schermate sottili, cavetto rosso/nero- causavano un certo degrado del segnale che vi transitava. Il problema sarebbe stato abbastanza facile da risolvere giacché, allora come ora, con qualche ragionamento più approfondito sulle cause di questo degrado, si sarebbero potuti individuare e “standardizzare” altri tipi di cavi, già in uso in altre applicazioni, in grado praticamente di azzerare tale difetto e chiudere definitivamente la questione. Cavi del genere esistevano allora, esistono tuttora, e non sono particolarmente costosi: ma non è questo il punto. Alcuni operatori del settore hanno intuito che sarebbe stato molto più redditizio creare un mercato apposito e, ottenuto l’appoggio della stampa di settore, è nato, letteralmente dal nulla, il mercato dei cavi. La cosa ha preso piede in maniera travolgente e senza quasi incontrare resistenza: in capo a cinque anni si è riusciti a far digerire agli audiofili che un metro di filo elettrico potesse costare trecentocinquanta mila lire. Altri cinque anni, e senza che nessuno si scandalizzasse, si è arrivati a due milioni al metro. Ancora cinque anni -e siamo alla seconda metà dei Novanta- e si sono toccati dei massimi di cinque o sei milioni al metro. In tale frattempo, sono state proposte cose scandalose: dai cavi ad acqua, a quelli imbottiti di piombo. La domanda è: “Com’è possibile che tutto questo sia potuto accadere ?”

La sola risposta che il sottoscritto è riuscito a darsi è che, evidentemente, gli audiofili si sono divertiti troppo coi cavi, perché qualcuno avesse il coraggio di sospettare che forse qualcun altro si approfittava delle loro velleità ludiche. Esistono ad esempio cavi che intenzionalmente introducono una loro caratterizzazione sull’ascolto; questi sono i successori, anzi i succedanei dei controlli di tono –che hanno curiosamente cominciato a scomparire dagli amplificatori proprio coll’avvento dei primi cavi audio !- cosicché ora l’audiofilo deve comperare un nuovo cavo ogni volta che vuole cambiare regolazione… Lo scrivente si è accorto, ormai da lunga pezza, che, eccettuati i casi di cui sopra, le differenze sonore realmente percepibili tra cavi audio specifici di “alto di gamma”, ma realizzati seriamente, ed alcuni tipi di cavi industriali di costo decine di volte inferiore, sono sfuggenti, lungi dall’essere decisive -o forse è più appropriato dire “dall’avere influenza”- sull’ascolto di musica e comunque mai tali da giustificare la differenza di spesa. Eppure… ogni audiofilo che si rispetti ha sempre la sua collezione di cavi.

E’ probabile che queste collezioni appaghino anche il desiderio di “possesso”, a volte anche morboso, che l’audiofilo nutre nei confronti dell’impianto, similmente al bambino col giocattolo. Ad onor del vero, talvolta gli audiofili più consapevoli questo lo ammettono apertamente. Ciò può fornire una spiegazione anche alla loro costante smania di “up-grading” e di modifica delle apparecchiature. Queste operazioni, che gli audiofili spesso arrischiano senza la più pallida nozione di cosa vadano abborracciando, e che, a quanto chi scrive ha potuto osservare, vanno dall’ornare l’oggetto di orpelli inutili anzichenò, alla sua totale devastazione, con preventivi per il ripristino vicini al costo dell’apparato nuovo -il sottoscritto può testimoniare di almeno un caso di un elemento talmente martoriato che l’assistenza autorizzata lo giudicò irrecuperabile (NOTA: era un DAC Audio Note che mi capitò quando lavoravo a Nerviano. L’avevano talmente conciato che non si poteva più recuperare neanche il telaio. Fu il caso più estremo, ma non l’unico tra quelli che mi sono capitati !)– parrebbero foriere dello stesso piacere che provano i pargoli a smontar i loro balocchi.

Un altro indizio proviene dalla constatazione della smisurata importanza attribuita dall’audiofilo al fattore estetico ed alla presentazione, anche degli accessori. Ciò è singolare, in primo luogo perché i canoni estetici più graditi agli audiofili in genere non solo non migliorano l’accettazione dell’apparato da parte di chi con lui coabita, ma anzi spesso, essendo antifunzionali e pacchiani -vedansi al proposito certi diffusori e certi amplificatori, specie a valvole- portano ulteriore conflittualità. Quest’ultima è aggravata dal fatto che raramente l’impianto audio è a disposizione di tutta la famiglia; quindi viene visto come un ingombro, un’intrusione a beneficio del solo audiofilo.

In secondo luogo, certe scelte estetiche e certe lavorazioni comportano un aggravio di costo notevole su ogni elemento, che finisce per avere un prezzo d’acquisto ancora più slegato dal valore intrinseco. La contraddizione è che l’audiofilo su questo protesta fieramente, salvo poi snobbare prodotti che, presentati in maniera più dimessa, per un pari esborso potrebbero offrire contenuti e risultati d’uso ben più interessanti. Anche da questo aspetto si trae la conclusione che il valore funzionale -inteso come fedele riproduzione della musica- dell’impianto audio, per l’audiofilo non rappresenti una motivazione sufficiente.

Questo lo sanno bene i commercianti del settore, che hanno elaborato tutta una serie di stratagemmi psicologici, con lo scopo di trarre profitto dai desideri dell’audiofilo. I più bravi in questo sottile giuoco riescono a piazzare oggetti che a qualsiasi profano apparirebbero del tutto invendibili.

Tra questi stratagemmi rientra anche la negoziazione del prezzo di acquisto e di ritiro dell’usato. Chi scrive, pur non avendo mai preso parte a trattative del genere, ha ormai imparato anch’egli che gli elevatissimi prezzi di listino pubblicati per certi prodotti, sono talvolta da ritenersi una base di trattativa nel caso peggiore, cioè che il possibile acquirente intenda dare in permuta un oggetto recente e di categoria equivalente; altrimenti si mercanteggia fino a chiudere a prezzi MOLTO inferiori a quelli di listino. L’audiofilo esperto questo lo sa perfettamente, ma evidentemente prova molta più soddisfazione nel negoziare sulla base di un prezzo “fittizio”, che nel pagare un prezzo più equo, ma senza trattativa.

Esistono alcuni commercianti che, colla tecnica del ritiro/vendita usato contro usato, fanno continuamente circolare gli apparecchi tra i loro clienti monetizzandoli un po’ alla volta: spesso convincono un cliente ad effettuare un cambio anche quando questi non ne aveva manifestato l’intenzione, e con un altro apparato tutto sommato equivalente. Questi commercianti sanno scegliere molto bene i clienti che si prestano a tali manovre: in questo modo, per loro il giuoco non ha mai fine.

Condizionamenti, consulenze del primo, secondo e terzo tipo, e l’importanza della suggestione

Dal momento che l’audiofilia non è comunemente compresa, né tantomeno condivisa, da alcuno che non sia anch’egli addentro al settore, gli audiofili esercitano la loro passione in sorte di gruppetti, alcuni dei quali sembrano quasi specie di società segrete. Finanche alcuni progettisti di apparati, quelli dall’approccio più razionale e funzionalista, cioè ancora convinti che l’impianto audio serva ad ascoltar la musica e vada progettato in funzione della medesima -sono una sparuta minoranza, in verità- mal tollerano di doversela vedere con le esigenze “ludiche” degli audiofili, e non mancano di attaccarli con sarcasmo quando si presenti loro l’occasione. Altri però -purtroppo la maggioranza- fanno affidamento proprio sui giudizi questi gruppetti; e questo, se nel breve periodo può far fare loro un po’ di cassa, nel medio è la rovina del settore.

Infatti, dal momento che, come affermato più sopra, è altamente ragionevole ritenere che l’audiofilo consideri il proprio impianto audio alla stregua di un giocattolo -il che preclude completamente atteggiamenti troppo tecnici ed orientati al risultato, che renderebbero tutto molto meno vario e divertente, favorendo invece un approccio relativistico e, di fatto, il rifiuto di qualsiasi criterio razionale di scelta- non rimane altro, per questi gruppetti di audiofili, che scegliersi un “pacchetto” di convenzioni con le quali fare un identikit del loro “suono” ideale e delle tipologie di apparati da preferirsi per ottenerlo; ma si tratta sostanzialmente di forme di partigianeria non supportate da assunti tecnici o “filosofici” ben organizzati. Le opinioni che si fanno strada in seno a questi gruppetti non hanno pertanto alcun fondamento preciso.

Ed arriviamo così alla principale contraddizione dell’audiofilia: se, da un lato, il non volersi dare criteri di scelta razionali dà all’audiofilo l’inebriante impressione che il suo mondo sia bello, interessante e privo di trappole, e fornisce al suo Ego un appiglio per ritenersi un grande e saggio esperto, dall’altro lo priva di una qualsiasi linea guida sufficientemente affidabile, sulla quale basarsi per effettuare acquisti evitando delusioni. Egli è, così, roso costantemente dal germe del dubbio, e pertanto cerca in qualche modo delle certezze; proprio quelle che vorrebbe rinnegare per tema di togliere al giocattolo il suo fascino! Il vero audiofilo -ricordiamolo- non ha mai una vera padronanza della tecnica dei suoi apparati: se l’avesse si risparmierebbe denaro e delusioni ma non potrebbe permettersi un approccio troppo ludico, e quindi, forse, si divertirebbe meno. Né è d’aiuto il fatto che, sulla tecnica, anche la stampa di settore abbia, oramai da lunga pezza, gettato la spugna: le recensioni degli apparati ormai non riportano più né schemi elettrici, né tampoco spiegazioni o commenti dei medesimi, e spesso neppure le misure più elementari. Tutto si riduce alla prolissa, ed estremamente noiosa, esposizione delle impressioni del recensore, mentre le scelte tecniche che stanno dietro ai prodotti restano nelle tenebre più fitte.

Càpita così, e secondo canoni che si ripetono più o meno sempre uguali, che l’audiofilo che ha già preso la decisione di acquistare un certo oggetto che in quel momento gli appare desiderabile, vada a chiedere conferma a terzi -che egli ha previamente classificato come candidati dispensatori di certezze- circa il fatto che l’oggetto su cui è orientato sia effettivamente quello giusto e non comporti rischi di delusione. Il problema è che la scelta che l’audiofilo ha già operato, come spiegato, non segue criteri razionali: malgrado ciò, egli ne è convintissimo e non è minimamente disposto a lasciarsi persuadere diversamente. Il suo comportamento in questa situazione, alla quale chi scrive ha assistito più e più volte, è assolutamente peculiare: qualora il suo interlocutore -non importa se a torto od a ragione- palesi contrarietà all’operazione pianificata, egli, che, come detto, non è disposto ad essere contraddetto, reitera la domanda -attenzione: non cerca argomentazioni a suo favore; semplicemente reitera la domanda- all’infinito, anche a più riprese distribuite nell’arco di mesi, nella speranza che il suo interlocutore ceda e finisca per confermargli che, ebbene sì, sta facendo bene. L’audiofilo cioè si rifiuta di recedere dal suo proposito; pur tuttavia non si sente tanto sicuro da agire senza il beneplacito di terzi.

Come vada a finire il contradditorio tra l’audiofilo ed il suo consulente designato, dipende esclusivamente da quanto quest’ultimo sia disposto ad assecondare l’audiofilo; ad un dato momento il loop si deve pur fermare, e l’esperienza mostra tre possibili modalità: in ordine decrescente di gradimento da parte dell’audiofilo, e crescente di onestà intellettuale del consulente.

Consulente del primo tipo: decide scientemente di far contento l’audiofilo; una volta capito quale risposta egli spera di ottenere, gliela dà.

Consulente del secondo tipo: fornisce una risposta diversa ogni volta che la domanda viene ripetuta. Questo è quanto l’audiofilo spera, ed è per questo che insiste: statisticamente, la risposta favorevole tanto attesa prima o poi arriverà.

Consulente del terzo tipo: risponde quello che realmente pensa e, se l’audiofilo intende commettere una corbelleria, prova a spiegargli perché non dovrebbe: ma l’audiofilo insiste fino ad esaurire la sua pazienza, e finisce per farsi spedire a quel paese in malo modo.


In altre parole, l’audiofilo non vuole affatto un interlocutore onesto od esperto: ne vuole solo uno disposto a dargli ragione. Il merito di queste discussioni infatti è completamente irrilevante, e non ha alcuna influenza sul loro esito. Una tattica che gli audiofili adottano abitualmente per aiutarsi, inoltre, è quella di formulare domande più vaghe, generiche ed indirette possibile: così agendo, almeno i consulenti del primo o secondo tipo forniscono a loro volta risposte che l’audiofilo ha modo di interpretare sempre come delle conferme. Tale tattica è meno efficace con i consulenti del terzo tipo, che riescono a comprendere dove l’audiofilo voglia andare a parare e rispondono in modo meno facile da strumentalizzare. Paradossalmente questi ultimi sono più affidabili, ma meno ascoltati.

Altro addentellato della di sopra contraddizione, è che essa implicitamente promuove il proliferare nel mercato di operatori a vario titolo -commercianti “paralleli”, guru, fantasiosi inventori e financo improvvisati costruttori- spesso non solo privi di alcuna competenza del ramo, ma addirittura completamente digiuni sia di Fisica che di Elettrotecnica, e però in qualche modo legittimati sia da detta spinta al relativismo, sia dalla fame di “certezze”, ma soprattutto dal fatto che solitamente si qualificano come consulenti del secondo tipo. A volte vorrebbero rientrare nel terzo tipo, emettendo proclami e sentenze apparentemente inappellabili; ma, non sapendo quello che dicono, si contraddicono in continuazione, ed un interlocutore mediamente smaliziato non ha difficoltà ad incastrarli. Di fatto, trattasi perlopiù di semplici audiofili dall’Ego particolarmente prepotente, od in altri casi, e più semplicemente ancora, di furbacchioni nel tentativo di arrotondar le loro finanze. Costoro, sebbene a rigor di logica non abbiano alcun titolo per considerarsi depositarii di scienza o saggezza speciali, nel presente stato di cose si sentono in un certo qual modo incontestabili, ed anzi spronati a sputar sentenze a destra e a manca, inevitabilmente in contraddizione l’uno coll’altro giacché

lo sono anche con sè stessi. Il fatto che nessuno, nel settore, osi pretendere conferme concrete o giustificazioni tecniche alle loro affermazioni, rende loro un magnifico servigio. Gli audiofili se la prendono a morte con chi mette in dubbio tali “autorità (auto)costituite” perché le vedono come sorte di salvagenti; e però non riescono a discernere a chi dar retta perché impediti dal relativismo e dalla poca conoscenza tecnica! Col frustrante risultato che gli audiofili d’istinto darebbero retta a tutti; e questi sputasentenze, lungi dal risultare di qualche aiuto, a conti fatti confondono loro vieppiù le idee, spacciando per Verità le panzane più peregrine.

Dal momento che anche con la logica, od almeno quella che agli audiofili deve apparire tale -non rendendosi costoro conto che essa è minata alla base dalle contraddizioni appena esplicitate- non appare possibile un’esistenza tranquilla ed al riparo da dubbi e delusioni, ecco che essi spesso trovano conforto nella suggestione. Essa consente loro di trovare da soli le risposte univoche, le certezze, che non sono raggiungibili per altra via; le suggestioni inoltre sono facilmente condivise all’interno del gruppetto, per cui hanno anche una funzione aggregativa. Se qualcuno dei sopra citati guru sostenesse che spruzzando acqua fresca sui cavi il suono migliora, a molti audiofili farà piacere crederci, ma potrebbe rimanere loro qualche dubbio residuo, sul fatto di aver anch’essi percepito realmente i miglioramenti descritti dal guru ripetendo l’esperimento secondo le sue prescrizioni. Resterebbe, in fondo, il noioso sospetto di esser stati presi per il naso. Qualora però uno di questi audiofili riuscisse a persuadere il resto del suo gruppetto su tali miglioramenti -ed è una questione più che altro di dialettica- tutti i suoi dubbi si dissiperanno, trasformandosi in incrollabile certezza collettiva. Questo meccanismo funziona in maniera infallibile, e del tutto indipendente dai reali esiti dell’esperimento: non occorre che un fenomeno sensibile esista davvero, la semplice convinzione che ci sia è un conforto più che sufficiente.

A tal proposito, qualche volta chi scrive ha provato a far esperimenti, con esiti a tutta prima sconcertanti, ma spiegabili tenendo presente quanto sopra. Un esempio fra i tanti possibili: poco più di un decennio fa certa stampa iniziò a parlare dell’importanza, ai fini sonici, del verso d’inserzione della spina di rete. La cosa fu giustificata con argomentazioni tecniche non troppo solide, ma che tutto sommato potevano avere un loro senso. A quei tempi il sottoscritto -che aveva frequentazioni relativamente assidue con altri audiofili- provò a prendere in considerazione l’argomento, collegando le varie apparecchiature secondo quanto prescritto dalla stampa americana -minimizzazione del

potenziale verso terra della massa di ciascun telaio-, ma francamente, all’ascolto, non registrò alcuna differenza realmente identificabile come tale, rispetto alla situazione preesistente. La questione, per un certo periodo, fu controversa all’interno del gruppetto; poi la stampa smise di parlarne, e tutto fu dimenticato.

Qualche anno dopo, chi scrive incontrò nuovamente l’allora “leader” del gruppetto, e la vecchia questione della fase di rete tornò fuori. Costui sosteneva che l’inversione della spina si udiva chiaramente in ogni situazione: siccome si era a casa del sottoscritto, si decise così di far un’ulteriore prova. Lo scrivente doveva far ascoltare il proprio impianto a tale “leader” con un disco da quest’ultimo scelto; poi, quando questi lo richiedeva, spengere il finale di potenza, armeggiare intorno alla spina, riaccenderlo e riprendere l’ascolto. Ad ogni “cambio”, il “leader” doveva indovinare se chi scrive avesse realmente rovesciato la spina, ovvero l’avesse reinserita con lo stesso verso. Una classica prova in singolo cieco, in genere temutissima dagli audiofili, anche se in quell’occasione la sfida fu raccolta con baldanza. Bene: più volte, solo sfilando la spina e reinserendola senza voltarla, i commenti del “leader” furono del tipo “Adesso è completamente diverso!” “Tutt’altra cosa!” eccetera. La percentuale di commutazioni indovinate fu dell’ordine del 20%, come dire casuale: questo tipo di prove comincia ad indicare che qualcosa si sente davvero, quando le risposte esatte sono almeno il

70%. Chi scrive fece prove simili anche in altre occasioni, con altri apparecchi, e sempre con risultati analoghi. Così come si ripete sempre analogamente la circostanza che l’audiofilo, appena dopo esser stato platealmente smentito da sè stesso, continui pervicacemente a sostenere che quella cosa che egli ha dimostrato di non sentire, si sente benissimo. (NOTA: la storia è vera e l’ho sperimentata diverse volte; solo il contesto è inventato, nel senso che non ho mai fatto parte di nessun gruppetto ed il “leader” è un personaggio fittizio, che rappresenta i vari audiofili ai quali mi sono divertito a far fare questa figuraccia)

Quale conclusione trarre? Qualcuno potrà forse provare a contestare il metodo; ma vi è che esso è identico a quello adottato dagli audiofili: breve ascolto/cambio/breve ascolto eccetera, sempre dello stesso spezzone di disco. Quest’ ultimo addirittura, a volte non contiene nemmeno musica. Il sottoscritto ha assistito diverse volte a prove di questo genere con, per fare un esempio, il primo minuto di “Jazz At The Pawnshop”, che contiene solo rumori ambientali, reiterato per ore. (NOTA: anche questa è vera! Quante volte me li sono dovuti sorbire questi imbecilli) La sola differenza è che gli audiofili non fanno mai commutazioni in cieco: così, effettuano le loro prove avendone premeditato l’esito. Se si leva loro la nozione di cosa stiano ascoltando, i loro giudizi si sconvolgono, oppure non riconoscono più le differenze che erano persuasi di sentire. Allora forse il problema vero non è di metodo, ma di merito. L’audiofilo non vuole sentire come suona l’impianto: vuole confermare a sè stesso che esso suona come gli piace pensare che suoni. Se un audiofilo nutre una sua simpatia verso un tale prodotto, e gli si propone il confronto con tal altro prodotto dal suono uguale o migliore -ma soggettivamente meno simpatico-, egli rifiuterà fieramente la prova in cieco, per tema o di non riuscire a distinguerli o di giudicare migliore il meno simpatico. Se la prova viene invece effettuata “in chiaro”, potete star certi che l’audiofilo proclamerà vincitore il prodotto da lui aprioristicamente prescelto. Autosuggestione? Certo! Essa è strettamente funzionale a perpetuare il giuoco, ed è un’altra di quelle cose alle quali l’audiofilo non rinunzierebbe per nulla al mondo.

Un quadro preoccupante

A parere di chi scrive, una seria riflessione e l’elaborazione di qualche contromisura per riportare l’audio di qualità fuori da tale schizofrenica situazione, sono oramai non più procrastinabili: non si può più far affidamento sugli audiofili, e sulle loro consuetudini ormai cristallizzate, per la sopravvivenza stessa del settore. Nei termini attuali, l’audio specialistico viene presentato in una maniera che al contempo spaventa e fa ridere un neofita che vi si volesse avvicinare; il quale da un lato trova la spocchia dei venditori specializzati, abituati a trattare con gli audiofili, e gli esosi prezzi dei prodotti – oltre tutto, non essendo avvezzo alle peculiari trattative usuali per gli audiofili, e conoscendo il prezzo di altra elettronica di consumo, si scandolezza ed insospettisce vieppiù-, da un altro la pesantezza, scarsa comprensibilità e povertà tecnica delle prove e recensioni della stampa di settore, da un altro ancora le difficoltà di installazione e di fruibilità di certe apparecchiature, ed infine i risultati sonori, molte volte ben poco gratificanti malgrado l’ottimismo sia dei venditori che della stampa.

La causa di tutto ciò è che oramai l’audiofilia si è definitivamente distaccata dalla “vera alta fedeltà”, come codesta Rivista ama definirla. L’audiofilia è un giuoco che si è costruito tutto un mondo fantastico di miti e fideismi, che nulla più hanno a che spartire con la fedele riproduzione della musica; anzi, quest’ultima ormai è vissuta come un vero e proprio ostacolo all’esercizio della passione audiofila. Lasciare l’alta fedeltà in ostaggio agli audiofili, e continuare a parlarne col loro linguaggio, paradossalmente tiene lontani gli utenti più promettenti, ossia coloro che potrebbero realmente essere interessati all’ascolto di qualità della musica. Non è più esatto considerare l’audiofilia come una frangia estremista dell’audio di qualità: per mantenerlo in vita, bisognerebbe avere il coraggio di restituirgli una dignità, separandolo nettamente da quello per audiofili. Anche se va ammesso che qualcosina si sta facendo, almeno dando spazio a prove di apparecchiature meno “indigeste”, il sottoscritto ritiene che si debba essere meno timidi, tornando a proporre analisi tecniche ed a fare divulgazione in questo senso, in maniera meno sporadica. In altre parole, occorre tornare a dimostrare al lettore e possibile cliente, specie se neofita, che anche l’audio di qualità è una cosa seria ed offre dei contenuti. Diversamente, la sua ghettizzazione è inevitabile.>>

lucaesse
Messaggi: 2060
Iscritto il: domenica 10 novembre 2019, 19:03

Re: Ricordate questo articolo...???

Messaggio da lucaesse » mercoledì 12 aprile 2023, 23:37

eccome no?

ineccepibile.

aldusmanutius
Messaggi: 634
Iscritto il: giovedì 24 novembre 2016, 16:03

Re: Ricordate questo articolo...???

Messaggio da aldusmanutius » venerdì 14 aprile 2023, 12:36

Bel post di eccezionale lunghezza. Riflessione potente, netta, in parte amara, comunque in parte eccepibile.
Seppur di fondo concordo con il punto sulla situazione scritto da Nardi va precisato che non può che risalire alla fine degli anni Novanta, i riferimenti alle lire lo smascherano; probabilmente era stato redatto per Audioreview. Ancor prima di discuter nel merito le sue osservazioni dovremmo chiederci se nel 2023 qualcosa sia cambiato e in che modo o in che direzione, di acqua ne è passata sotto i ponti e molti di quegli audiofili così semplicioni non ci sono più, estinti perché si sono disamorati, per decesso, o, semplicemente, perché hanno saputo evolversi, proteggersi, e certi oggetti non li guardano più perché smascherati dallo scarso contenuto in rapporto al prezzo a cui sono piazzati sul mercato.

Senza dubbio il quadro generale è realistico, descritto per esperienza diretta approfondita.
Ammetto che mi ci riconosco al 90% in tanti aspetti dell’approccio alle apparecchiature, a come ho sperimentato in passato accessori più disparati, upgrade, scelta del software ecc. Pure io sono stato vittima di affrettati entusiasmi, da riviste prima, venditori poi, e amici pseudo o realmente competenti; ancora adesso noto l’esistenza di certi gruppi autoreferenti che si formano sulla base di comuni sensibilità, anche se principalmente su spazi social, che non frequento. D’altro canto, questo è normale in ogni altro campo; se sono tifoso del Milan non frequenterò di certo un club di arciconvinti juventini non vi pare?

Concordo in parte sulle dinamiche determinanti di natura psicologica e della gratificazione del proprio ego; ho già in passato toccato nel forum questo tasto dell’aspetto “ludico” citato anche da Nardi; a volte il cambio di un'apparecchiatura o cos'altro imbrocca piccoli o significativi miglioramenti, al contrario a volte ci si convince che un oggetto risponda a requisiti di contenuto ed estetici sulla base di un quadro che ci facciamo a tavolino; l’eventuale scoperta che il risultato sonoro non è poi all’altezza di quello che si sperava viene sepolto, minimizzato o ignorato per non sentirci dei perfetti idioti, credo sia capitato a tanti, forse non a tutti: fa parte del fardello che si chiama esperienza (1). Quel che è importante è non perseverare ovviamente.

Ciò nonostante del post non concordo su diverse piccole cose, dalla vicenda dell’inversione delle spine ad esempio, allo stesso tempo risibile ed importante; l’idea che esista una “suggestione”, tema che ha alcuni accaniti ed assai fastidiosi sostenitori su Melius ad esempio, così come ne esistono altri ancor più talebani (forse pure lo stesso Nardi) che ammettono solo l’ascolto in cieco… che Dio mi scampi da costoro.

Sui cavi poi… l’approccio di Nardi è preclusivamente sbagliato. Sappiamo che il business che ci gira intorno è fastidioso, gonfiato sino al ridicolo, ma citare ogni due per tre la questione “cavi” come esempio perenne di inutile e idiota accanimento audiofilo (succede stabilmente anche in questo spazio) è sconfortante; basterebbe riconoscere e ammettere la marginalità dell’accessorio, e non la sua indispensabilità per ridurlo alla sua giusta dimensione funzionale ed economica; e per “giusta” puntualizzo pure; non mi scandalizzo se un metro o due di certi tipi di cavo costano mille o duemila euro, ma quando vedo proposte di 8-10-20 mila… e ce ne sono parecchie eccome se mi inc… e non solo perché non me le posso permettere; semplicemente c'è un limite alla decenza.

Seppur quindi a tratti ridondante, l’autore ha radunato per bene un quadro che non è per nulla incoraggiante, forse è davvero colpa nostra che negli anni abbiamo permesso tutto questo senza opporci, anzi, essendo parte propulsiva di quel tipo di indotto.
Quel che è certo è che la nostra generazione (nati direi tra il dopoguerra e tutti gli anni ’70), che si approcciava al due canali stereo sta scomparendo, chi viene dopo di noi usa una fruizione della musica totalmente diversa, siamo dinosauri temo, ma in fondo di questo si è già parlato.

(1) = mi sia consentita una precisazione per il concetto di “esperienza”. Secondo Gianfranco Funari (magari l’aveva copiata da qualcun altro) “l’esperienza è la somma di tutte le volte che te la sei pijata in der c…o”. vedete un po’ voi.
un saluto a tutti
Marco

lucaesse
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Re: Ricordate questo articolo...???

Messaggio da lucaesse » venerdì 14 aprile 2023, 22:28

ciao Aldusmanutius, ti pareva che non dico al mia su un paio di punti del tuo post. Come al solito! :)
non mi scandalizzo se un metro o due di certi tipi di cavo costano mille o duemila euro, ma quando vedo proposte di 8-10-20 mila…
cavi di potenza? Di segnale? Poco importa: immaginiamo di investire 300 euro per realizzare un cavo. Quali difetti avrà per giustificare un investimento di altri 700/1700 euro? E' possibile che le alterazioni che introduce siano così evidenti da giustificare incrementi di costi simili? Secondo me no. Con 300 euro un cavo lo fate con materiali al di sopra di ogni sospetto, miglioramenti possibili sicuramente ridottissimi e verosimilmente non udibili. A meno di truccare deliberatamente il gioco. 2Keuro al metro per me è già un costo folle, privo di senso pratico. Quale che sia il livello dell'impianto e per quanto si possa insistere sul costo dei miglioramenti più fini. Condivido quindi l'opinione di Nardi.
l’inversione delle spine ad esempio, allo stesso tempo risibile ed importante
questa è una faccenda interesante. Non è difficile immaginare possibili spiegazione del perchè (con un impiato elettrico dotato di neutro e fase) invertendo la connessione possa cambiare il risultato. La più ovvia è che il flusso disperso del trasformatore cambi in funzione del collegamento, cosa possibilissima.

L'aspetto interessante è la reazione degli audiofili. Se un apparecchio cambia sensibilmente il suono in funzione della fase di alimentazione vuol dire che è stato costruito con poca cura rispetto ai campi magnetici dispersi e alle connessioni di massa. Oppure sono le connessioni di massa dell'impianto stereo a non essere ben realizzate. Insomma il fenomeno dovrebbe essere raro e di modestissima rilevanza. In pratica se girando le spine sentite delle differenze probabilmente almeno un apperecchio della catena è un bidone o le connessioni tra i vostri apparecchi sono fatte a c:;;*.

Che fa allora l'audiofilo? Pretende oggetti ben progettati e realizzati? Controlla il cablaggio dell'impianto? Ma no, troppo facile! E comincia a girare spine a scimmia, sentendo variazioni sonore del tutto irrealistiche. Poi compera una ciabatta che costa come un diffusore. :shock:

Un aspetto tecnico molto specifico e normalmente marginale viene trasformato in un nuovo rito della religione audiofila. Perché l'aspetto magico deve assolutamente prevalere. Si dice hi-fi esoterica, no? Vorra ben dire qualcosa.

; l’idea che esista una “suggestione”.... .....talebani (forse pure lo stesso Nardi) che ammettono solo l’ascolto in cieco… che Dio mi scampi da costoro.
qui non ti seguo, anche se forse condivido in parte. La suggestione esiste e spesso ci condiziona sensibilmente, mi pare difficile negarlo. Quanto all'ascolto in cieco, anch'io trovo che certe prove siano in parte artificiose, che la normale fruizione dell'impianto abbia ben poco a che vedere a certi test in stile "cerca le differenze" della settimana enigmistica. Ma francamente se si cercano dati oggettivi in merito a senzazioni che sono soggettive non vedo altra strada. Test in cieco e in numero sufficiente, diversamente rimaniamo nel novero delle opinioni personali. Altro vantaggio sarebbe dirimere certe questioni tra opposte fazioni di audiofili. Pensa alle guerre di religione tra patiti dell'alta efficienza e adoratori delle elettrostatiche: impossibile effettuare un confronto sul campo, nessuno ammetterà mai - magari persino in buona fede! - che la tecnologia preferita produca un suono peggiore di qualsivoglia sfidante. Confronto al buio e allora qualche conversione o almeno qualche fede incrinata sarà possibile.


Buona serata

Luca

F.Calabrese
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Re: Ricordate questo articolo...???

Messaggio da F.Calabrese » venerdì 14 aprile 2023, 23:15

lucaesse ha scritto:
venerdì 14 aprile 2023, 22:28
l’inversione delle spine ad esempio, allo stesso tempo risibile ed importante
questa è una faccenda interessante. Non è difficile immaginare possibili spiegazione del perchè (con un impianto elettrico dotato di neutro e fase) invertendo la connessione possa cambiare il risultato. La più ovvia è che il flusso disperso del trasformatore cambi in funzione del collegamento, cosa possibilissima...
E' esattamente come dici: il fatto che il suono di un ampli cambi, invertendo la polarità della spina di alimentazione, è uno dei sintomi più certi che dimostrano il progetto elettronico dilettantistico di quell'ampli e la sua realizzazione "pecoreccia".

Provare per credere !!!


Saluti
F.C.

mdn
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Re: Ricordate questo articolo...???

Messaggio da mdn » domenica 16 aprile 2023, 4:07

Ottimo articolo -ricordo d'averlo letto in precedenza e mi ha fatto piacere rileggerlo.
Credo tutto sia iniziato quando si e' cominciato (inizio anni '80, o giu' di li') a dare piu' importanza alle impressioni d'ascolto, piuttosto che alle misure, un soggettivismo che, in mancanza di dati oggettivi, e basato su pareri personali, consente di affermare tutto ed il contrario di tutto senza rischi di smentite.
Comunque penso che per ogni differenza sonora percepita durante i test (se esistente), debba sempre esserci una motivazione tecnica, come nei casi citati, e quindi puo' essere rilevata anche strumentalmente ed indagata.
Diversamente puo' trattarsi di suggestione o scherzo della percezione

Dave

gfm
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Re: Ricordate questo articolo...???

Messaggio da gfm » domenica 16 aprile 2023, 8:30

mdn ha scritto:
domenica 16 aprile 2023, 4:07

Diversamente puo' trattarsi di suggestione o scherzo della percezione

Dave
ma e' la percezione e' quello che conta

andreazac
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Re: Ricordate questo articolo...???

Messaggio da andreazac » martedì 18 aprile 2023, 10:23

gfm ha scritto:
domenica 16 aprile 2023, 8:30
mdn ha scritto:
domenica 16 aprile 2023, 4:07

Diversamente puo' trattarsi di suggestione o scherzo della percezione

Dave
ma e' la percezione e' quello che conta
bisogna considerare che la percezione è soggettiva e non costante: ognuno ha la sua e cambia nel tempo ed a seconda delle situazioni.
Un progetto che non sia un unicum per un certo cliente in un dato momento non può basarsi sulla percezione se non per dei parametri fisiologici generali.
Andrea, alla ricerca della realtà...

gfm
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Re: Ricordate questo articolo...???

Messaggio da gfm » martedì 18 aprile 2023, 11:49

per lavoro mi occupo di elettronica digitale e quindi non posso non essere d' accordo sul fatto che le misure e la strumentazione
in genere siano essenziali nella progettazione.
Il fatto e' che per quanto riguarda l' audio mi ritrovo abbastanza in questo che segue (dal sito www.gedlee.com):

"The bottom line here is that we know so little about how humans perceive the sound quality
of an audio system, and in particular the loudspeaker, that one should question almost everything
that we think we know about measuring it. From what we have found most of what is being done
in this regard is naive. Things like distortion measurements that don’t consider masking, or axial
frequency response that does not consider the reverberant field or arrival time issues of group
delay. Maybe someday in the future we will be able to quantify perceived sound quality and
move audio away from a marketing dominated situation to a data driven one."

F.Calabrese
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Re: Ricordate questo articolo...???

Messaggio da F.Calabrese » martedì 18 aprile 2023, 12:30

gfm ha scritto:
martedì 18 aprile 2023, 11:49
per lavoro mi occupo di elettronica digitale e quindi non posso non essere d' accordo sul fatto che le misure e la strumentazione
in genere siano essenziali nella progettazione.
Il fatto e' che per quanto riguarda l' audio mi ritrovo abbastanza in questo che segue (dal sito www.gedlee.com):

"The bottom line here is that we know so little about how humans perceive the sound quality
of an audio system, and in particular the loudspeaker, that one should question almost everything
that we think we know about measuring it. From what we have found most of what is being done
in this regard is naive. Things like distortion measurements that don’t consider masking, or axial
frequency response that does not consider the reverberant field or arrival time issues of group
delay. Maybe someday in the future we will be able to quantify perceived sound quality and
move audio away from a marketing dominated situation to a data driven one."
E' da giorni che sto mettendo insieme il materiale per un thread veramente "speciale", nel quale spiegherò come la presunta mancata correlazione tra i risultati delle misure e quelli dell'ascolto è dovuta SOLO E SOLTANTO all'errata interpretazione dei risultati delle misure...

Dopo pranzo...

Saluti
F.C.

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