Due parole sui Line Array e non solo...

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F.Calabrese
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Due parole sui Line Array e non solo...

#1 Messaggio da F.Calabrese » venerdì 16 ottobre 2015, 17:50

Quoto dal testo della mia Conferenza del 10 novembre 2006, per la sezione italiana dell'Audio Engineering Society, svoltasi presso la Facoltà di Ingegneria, a Roma.

http://nuke.fabriziocalabrese.it/Portal ... _Guida.pdf

I grandi impianti da concerto

La Linea Guida n.12 è interamente dedicata agli impianti audio da concerto, uno dei
comparti più avanzati dell’audio professionale. Un’introduzione storico-tecnica evidenzia il
percorso evolutivo (in senso lato) che ha portato dai sistemi a tromba degli anni ’70 ai
“compatti” degli anni ’80, ai sistemi “Line Array” degli anni ’90, fino ad oggi: la prospettiva è
sempre quella di individuare gli aspetti eventualmente critici in campo ambientale.
I grandi impianti da concerto sono quasi sempre operati in deroga ad ogni limite
d’immissione acustica, alla condizione che si tratti di eventi temporanei, episodici.
Tuttavia, alcune Leggi Regionali (tra cui quella del Lazio, del 3/08/01, n.18) subordinano la
concessione delle deroghe alla presentazione di una documentazione tecnica, redatta da
un tecnico competente, iscritto all’Elenco Regionale, nella quale siano indicate le
precauzioni poste in essere per contenere al minimo i livelli d’immissione verso l’abitato.
Ebbene, il tecnico competente esperto, che abbia approfondito la materia, non potrà
mancare di rilevare che la scelta della configurazione “Line Array” è proprio quella in grado
di assicurare il massimo livello d’inquinamento acustico in corrispondenza delle abitazioni,
a parità di livello per gli spettatori del concerto. Ovvia conseguenza sarebbe la
prescrizione (da parte dell’ARPA, quantomeno) di impiegare altro tipo di impianto audio,
pena la mancata concessione del permesso in deroga.
Vi sono peraltro molti altri aspetti progettuali e tecnici controversi, caratteristici degli
impianti “Line Array”, ma anche, in gran parte, dei precedenti impianti “compatti”. E’ quanto
mai interessante osservare che le riserve più puntuali e meglio documentate, a carico dei
“Line Array”, sono pubblicate sulle pagine del Journal of Audio Engineering Society (o nei
“Preprint” delle Convention AES) ed hanno spesso per autori i massimi esperti
internazionali, talvolta gli stessi progettisti delle aziende di punta nel settore.
Nella Linea Guida n.12 sono citati, letteralmente, molti di questi pareri: alcuni individuano
bene il meccanismo di cancellazione reciproca tra le emissioni di differenti trasduttori,
quando l’ascoltatore è collocato a distanze via via minori, o comunque fuori asse, per
esempio ad una quota inferiore a quella di sospensione del “Line Array”. Le diverse
emissioni tendono invece a guadagnare, in termini di coerenza di fase, man mano che ci si
allontana e ci si eleva in quota, fino a raggiungere la perfetta addizione proprio in
corrispondenza delle facciate degli edifici a qualche centinaio di metri, specie a lato
Una delle osservazioni più originali, contenute in questa Linea Guida n.12, è quella relativa
all’esistenza di forti lobi di irradiazione laterale, alle frequenze medie e basse, nel caso di
“Line Array” incurvati, come sono la pratica totalità degli impianti odierni. Questi lobi sono
chiaramente visibili nei grafici delle simulazioni al computer, ma sono altrettanto
chiaramente e logicamente prevedibili: un “Array” incurvato comporta, infatti, differenti
tempi d’arrivo per le emissioni provenienti dai diversi trasduttori, se le si considera lungo
l’asse principale di propagazione. Ma alle abitazioni a lato, a distanza, ed alla stessa quota
dei diffusori, tutte le emissioni pervengono perfettamente sincronizzate, dunque senza
cancellazioni per interferenza di fase negativa. Questi stessi lobi laterali sono quanto di
peggio si possa auspicare quando si opera all’interno di spazi vasti e riverberanti, come
nei palasport: qui infatti essi puntano direttamente verso ampie superfici riflettenti, da cui
inesorabilmente ritornano, in piena coerenza di fase.
L’importanza di questa “caratteristica” degli impianti “Line Array” così a lungo ignorata è
comunque tale da meritare un approfondimento, facendo ricorso ad alcuni grafici tratti
proprio dalla Linea Guida n.12: essi rappresentano il risultato di alcune simulazioni al
computer, eseguite con il programma “Ease IV”.
La simulazione di cui verranno commentati i risultati è quella tridimensionale, in cui è stato
riprodotto il più verosimilmente possibile un tipico impianto “Line Array”, composto di 24
elementi alti 25 cm. (l’equivalente di 12 trasduttori distanziati 50 cm., nella pratica
comune), quindi alto 6 m. L’Array è incurvato nella parte inferiore, fino ad ottenere le
prestazioni ottimali nell’area destinata al pubblico, che, per questa simulazione, sarà
ipotizzata pari ad un quadrato di 100 metri di lato, ad altezza testa.
L’area esterna, che rappresenta la potenziale collocazione dei recettori, è un quadrato di
500 metri di lato, i cui bordi esterni sono sollevati fino ad una quota di 10 metri, per
indagare i livelli attesi in facciata sui tipici edifici urbani di 5-6 piani.

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F.Calabrese
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#2 Messaggio da F.Calabrese » venerdì 16 ottobre 2015, 17:52

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Fig.1
Il grafico di Fig.1, sopra
mostra il risultato della simulazione
dei livelli di pressione sonora
prodotti, a 315 Hz, dal “Line Array”
lungo 6 metri, incurvato nei due
terzi inferiori e sospeso a 9 m.
L’area in cui sono simulati questi
livelli è quella occupata dal
pubblico, di 100 metri di lato,
rispetto alla quale l’Array si trova
alla sinistra, qualche metro indietro
(come nella realtà di un concerto).
I livelli di emissione, eguali per le 24
unità, sono programmati per
consentire un livello medio
compreso tra 92 e 102 deciBel
(LLeq), e verranno mantenuti
identici per tutte le simulazioni
successive, per consentire il
confronto diretto. Si può notare la
grande omogeneità di copertura, che è il principale motivo del successo di questi impianti.
Questo risultato, tuttavia, non è raggiungibile alle frequenze inferiori, alle quali l’Array
perde il controllo, producendo livelli elevatissimi nell’area immediatamente antistante
l’impianto (visibili appena in questa simulazione).

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F.Calabrese
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#3 Messaggio da F.Calabrese » venerdì 16 ottobre 2015, 17:53

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Fig.2
Il grafico di Fig.2, qui sopra,
mostra il risultato della stessa
simulazione, con un “Line Array” da
6 metri ed a 315 Hz, ma, questa
volta, per un’area di 500 metri di
lato, con il perimetro a 10 m. di
altezza (la quota di un’abitazione).
L’Array è al centro dell’area. Sia
dinanzi che a 180° il livello appare
evidentemente inferiore, rispetto ai
due lobi di emissione puntati a 90°
e 270°, direzioni verso le quali sono
riscontrabili livelli di circa 90 dB a
250 metri, appena due deciBel al di
sotto del livello minimo nell’area del
pubblico.
Si può notare il decadimento di 6
dB per raddoppio di distanza,
previsto anche in teoria, poiché il
“Line Array” è di dimensioni relativamente contenute, rispetto alla lunghezza d’onda
emessa (circa 1 metro), Dunque gli effetti della perdita di rendimento causata
dall’incurvamento dell’Array sono ben evidenti, in asse ed a 180°, anche a frequenze
relativamente basse. Questa gamma di frequenze è però anche quella che veicola quote
prevalenti di energia (dai 40 ai 250 Hz, tipicamente) ed è letta con particolare enfasi dai
fonometri dei tecnici competenti e dell’ARPA, che, necessariamente, impiegano la curva di
ponderazione “A”, che attenua progressivamente le frequenze inferiori a 500 Hz.

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#4 Messaggio da F.Calabrese » venerdì 16 ottobre 2015, 17:53

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Immagine

Fig.3
Il grafico di Fig.3, qui sopra,
mostra il risultato di una simulazione
di confronto, effettuata
riconfigurando i 24 elementi (più
uno), fino a formare una sorgente
quadrata, di 125 cm. di lato. Questo
tipo di sorgente simula assai
verosimilmente il fronte d’onda
prodotto da una tromba, con una
bocca di pari dimensioni, oppure da
un “Array” piano, bidimensionale.
La copertura di questo nuovo
“Array” è evidentemente inferiore,
insufficiente a sonorizzare
omogeneamente l’area occupata
dal pubblico, nonostante la quota
elevata a cui è sospesa (9 m.).
I livelli sonori sono però assai più
elevati (98 dB a 100 m., in asse), ed
è del tutto verosimile l’ipotesi che con due di questi sistemi, pilotati a metà potenza ed
orientati opportunamente, si possa sonorizzare l’area esattamente agli stessi livelli prima
simulati con l’impianto “Line Array”. Il livello alle abitazioni sarà però assai diverso.

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F.C.


P.S.: Oggi... nel 2015... i due fasci si potrebbero ottenere da uno stesso array, semplicemente implementando una doppia matrice di ritardi digitali, per un segnale diverso.

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#5 Messaggio da F.Calabrese » venerdì 16 ottobre 2015, 17:55

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Fig.4
Il grafico di Fig.4, qui sopra,
mostra il risultato della simulazione
su un’area di 500 metri di lato, con
lo stesso “Array”, riconfigurato, di
Fig.3, composto da 25 elementi in
quadrato, di 125 cm. di lato.
Il livello in asse permane elevato,
circa 90 deciBel a 250 metri, ma la
dispersione è in forma di due lobi, di
cui quello posteriore sarebbe in
realtà appena attenuato
dall’ostacolo fisico costituito dalla
scocca del diffusore (o dalla
tromba). Quello che è bene
osservare con particolare
attenzione è l’andamento della
dispersione verso ogni altra
direzione: i lobi più energetici non
superano i 73-74 dB, su entrambi i
lati dell’area, a 90° e 270° dall’asse. Il livello di “inquinamento acustico” è dunque 90 – 74
= 16 deciBel, cioè 40 volte inferiore a quello prodotto dall’impianto “Line Array”, con le
stesse potenze unitarie per elemento (ed un solo elemento su 25 in più, per questo Array).
Nelle condizioni d’impiego più tipiche, di quest’ultima configurazione d’impianto ne
sarebbe stata necessaria, come prima accennato, una doppia sezione, operata però a
metà potenza, per via del maggiore rendimento in asse: il livello previsto per le immissioni
alle abitazioni sarebbe rimasto dunque esattamente lo stesso.

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#6 Messaggio da F.Calabrese » venerdì 16 ottobre 2015, 17:57

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Una riflessione

Ogni qual volta mi imbatto in aspetti critici relativi ad una configurazione di impianto da
concerto assai “popolare”, perlomeno al momento, mi sento sempre chiedere quale possa
essere il motivo di tanto successo commerciale, se vi sono i difetti tecnici così consistenti.
E’ accaduto all’epoca degli impianti “compatti”, agli inizi degli anni ’80, accade da anni per i
“Line Array”, ma potrebbe accadere per molti altri aspetti dell’audio, sui quali
semplicemente “non si discute”, talmente appaiono scontati.
Per una volta proverò ad approfondire, non prima di aver fatto una piccola premessa. Chi
si occupa dei grandi impianti di amplificazione da concerto, tende spesso a confondere
ruoli e figure professionali: c’è chi progetta i grandi impianti, presso le aziende che li
producono, chi li gestisce, a livello di “Service”, e chi li opera, cioè i fonici.
Nella grande stagione (degli anni ’70) che vide nascere il fenomeno dei concerti Rock, con
decine di migliaia di spettatori, i “Service” non avevano alcun modo di attingere al normale
mercato dei diffusori professionali, se non utilizzando quelli di maggiore potenza allora
disponibili, cioè quelli impiegati nei cinema. Ma questi diffusori erano stati progettati in
base a vincoli d’ingombro assai rilassati, per cui potevano occorrere anche cinque mezzi
articolati per portare in tourneé appena 20.000 Watt di impianto, cioè quanto bastava per
un palasport. Nacque, di necessità, la figura del consulente-progettista: da Stanley Miller a
Steven Court, da Dave Martin a Tony Andrews, e via dicendo. Alcuni di questi avevano
competenze che spaziavano dalla progettazione dei trasduttori a quella delle elettroniche,
incluse quelle di potenza, e dunque affrontavano ogni progetto in modo sistemico, come
da allora non è più accaduto.
L’approccio alternativo, più recente, è invece orientato nella direzione di progettare e
realizzare un “prodotto” che, preso a sé stante, sia il più perfezionato e competitivo
possibile, specialmente se la competizione si svolge tra soluzioni assai simili tra loro.
Questo apre -alla singola azienda- il potenziale mercato di tutti i “Service”, nel caso essa
arrivasse a produrre il diffusore o l’amplificatore “perfetto” e di costo accessibile.
Dall’altra parte, in questo modo molti “Service” possono competere con lo stesso tipo di
impianto, dipendendo assai meno dalla competenza dei singoli tecnici e fonici.
Anche gli artisti traggono vantaggio dalla competizione –ad armi pari- dei tanti “Service”,
con il vantaggio di prezzi calmierati. Per tutti questi motivi, vi è ben poco di che stupirsi, di
tanto successo. Ma è poi un vero successo, anche in termini commerciali ?

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#7 Messaggio da F.Calabrese » venerdì 16 ottobre 2015, 17:58

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Un esempio acuisce il dubbio: da diversi anni a questa parte (dall’epoca dei sistemi
“compatti”) più di un tour nei palasport (ed oggi anche le proiezioni negli Auditori) hanno
visto il tentativo di compensare lo scarso controllo della direttività di emissione dei diffusori
commercialmente disponibili, ricorrendo a costosi interventi di rivestimento con materiali
fonoassorbenti. Per il committente, alla fine, è del tutto possibile che non vi sia alcun
risparmio nel costo complessivo degli allestimenti: semplicemente una quota delle risorse
economiche che sarebbero state eventualmente spese per progettare e realizzare un
impianto audio direttivo, sono state dirottate in tendaggi e relative strutture di supporto.
Coloro che sono esperti di acustica passiva sanno bene quanto poco possano essere
assorbenti i drappeggi –di qualsiasi foggia e materiale- alle frequenze medio-basse e
basse, cioè per le bande di frequenze in cui è emessa la maggior parte di energia.
Quelli che, invece, sono esperti di trasduttori e diffusori, sanno bene che -da circa 30 anni sono
reperibili delle ottime ed affidabili “trombe a direttività costante”, con coperture fino a
40°× 20°, la cui larghezza di banda corrisponde con quella in cui sono efficaci i “tendaggi”.
Chiunque abbia ascoltato l’impianto da concerto utilizzato per il tour di “The Wall” dei Pink
Floyd, sa anche quali livelli qualitativi possono raggiungere queste configurazioni,
relativamente semplici (peraltro con i trasduttori di allora…).
Ma le stranezze dell’audio professionale datano ancor molto indietro, e partono
nientemeno che dalla scelta dei microfoni: se vi guardate intorno, su un palco di qualsiasi
concerto, troverete soltanto microfoni cardioidi ed ipercardioidi. Tutti sanno che i microfoni
direttivi presentano il cosiddetto “effetto di prossimità”, per cui la risposta alle basse
frequenze sale, e di molto, man mano che la capsula microfonica si avvicina alla sorgente
sonora. Non tutti sanno che, a seconda del tipo di microfono e delle sue dimensioni
fisiche, l’entità di questo effetto può essere assai variabile (e ve ne sono alcuni pressochè
immuni, per la cronaca). Non solo, ma a 90° (in tutte le direzioni) l’effetto di prossimità
scompare, poiché esso è causato dalla presenza di un gradiente e nulla del genere può
verificarsi se le due aperture del microfono ricevono lo stesso segnale. In sintesi, stiamo
dicendo che anche il migliore e più costoso microfono cardioide (o ipercardioide) avrà una
curva di risposta possibilmente variabile di 10-15 deciBel a 80-100 Hz., in funzione della
distanza e dell’orientamento rispetto alla sorgente. Anche le dimensioni della sorgente
faranno la loro parte… Inutile sottolineare che occorreranno ancora molti anni, prima che
la tecnologia offra la possibilità di programmare i controlli di risposta di un mixer in
funzione dell’orientamento del polso del cantante, o della posizione della sedia del
chitarrista… Nel frattempo si equalizzano gli impianti, ricorrendo anche ad apparati di
grande sofisticazione, ma ci si guarda bene dal confrontare la risposta, dritta come una
riga, ottenuta per la posizione in cui era collocato il microfono di misura, con quella
rilevabile spostando lo stesso microfono anche di appena mezzo metro…
La soluzione al problema dell’effetto di prossimità è semplicissima: è quella di impiegare
un microfono omnidirezionale, perdendo 5 dB di rapporto segnale/riverbero, che però si
recuperano avvicinandosi fino ad una distanza 1,7 volte inferiore: per esempio da 12 a 7
cm., per il caso di un cantante. Su un piatto della bilancia poniamo questi 5 cm. in meno,
mentre sull’altro abbiamo una risposta che varia di 10-15 dB su una banda critica, in modo
incontrollabile (e dunque senza possibilità di poter equalizzare). In realtà la situazione è
appena più complessa, in gamma bassa, ma è in ogni caso risolvibile con poco sforzo.
Ancora una stranezza del mondo dell’audio professionale è quella per cui ci si preoccupa
moltissimo della possibilità di compromettere la risposta di un impianto, a causa del
cosiddetto “filtraggio a pettine”, che si verifica quando lo stesso segnale perviene
all’ascoltatore con due tempi di arrivo di poco differenti. In queste condizioni vi saranno
alcune bande di frequenze in cui le due emissioni perverranno in fase relativa,
sommandosi, altre bande di frequenze (interposte ed alternate alle prime) in cui i due
segnali identici perverranno in controfase, annullandosi o cancellandosi per gran parte.
L’effetto all’ascolto è tanto spiacevole quanto ben noto: quello di un “Flanger”, cioè il modo
migliore per far divenire “elettronica” la resa dell’impianto dalla resa altrimenti più naturale.

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#8 Messaggio da F.Calabrese » venerdì 16 ottobre 2015, 17:59

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Ebbene, osservando un normale palco, si noterà facilmente che un gran numero di
strumenti, specie le percussioni, sono ripresi da più di un microfono, da distanze diverse e
dunque con differenti tempi di propagazione. Anche gli strumenti apparentemente immuni
dal fenomeno, per esempio le tastiere, o le voci riprese a brevissima distanza, possono
subire la stessa compromissione, mediante i ritorni dei diffusori monitor negli altri
microfoni… Arrivati al mixer, le varie emissioni duplicate vengono assegnate in parte alla
sezione destra dell’impianto, in parte alla sezione sinistra, ma mai ad una sola delle due:
quindi ogni ascoltatore -che non sia collocato sulla stretta riga della mezzeria- riceverà
ancora una volta due repliche dello stesso segnale, sfalsate nel tempo in funzione della
posizione relativa delle due sezioni dell’impianto.
Un solo grande impianto da concerto era immune da questo fenomeno: quello dei Grateful
Dead, che infatti raccolse sempre recensioni entusiastiche (ma quante volte abbiamo
riscontrato recensioni favorevoli, da quando ci sono i “compatti” o i “Line Array” ?).
Per quanto riguarda la soluzione del problema del “filtraggio a pettine” i più recenti sistemi
“Line Array” rappresentano –a guardar bene- il culmine del percorso di concentrazione,
cioè l’antitesi perfetta alla soluzione più logica.
Ecco, siamo ritornati al quesito: come mai tanto successo per tante soluzioni tecniche così
discutibili ? Personalmente tendo a credere che si tratti –semplicemente- di un problema di
comunicazione: all’epoca dei consulenti-progettisti, questi erano continuamente impegnati
in confronti di idee con i fonici e con i titolari dei “Service”, per i quali progettavano e
impianti su specifica (quando non vi era nulla di adatto, commercialmente disponibile).
E’ normale che un esperto di elettroacustica possa individuare i problemi assai più
facilmente, se ne discute con chi ne ha esperienza quotidiana, e –di converso- alcune
soluzioni diventano praticabili solo alla condizione di rinunciare al “prodotto”, così
magicamente perfuso di ignote virtù. Chi ha modo di contattare John Meyer, potrebbe
chiedergli qualcosa sullo strano impianto, da lui progettato, che Santana impiegò per un
tour europeo, a metà anni ’80: era praticamente perfetto, dal punto di vista progettuale, e
suonava di conseguenza…
Senza andare così lontano, è possibile effettuare personalmente una semplice verifica,
che spazzi via ogni dubbio. A me è accaduto per caso: si trattava di amplificare un gruppo
di bravissimi esecutori -con strumenti antichi ed originali- in una chiesa sconsacrata.
Anche la cantante era un’ospite illustre. A sorpresa, il mini “Service” si presentò con una
decina di microfoni cinesi da 13 Euro l’uno (IVA compresa), più 4 casse amplificate del tipo
con scocca in ABS, woofer da 15” e driver da 1”, con un filtro di crossover, tra i due, degno
della massima menzione d’infamia. L’elemento più lineare di questo “impianto” era
costituito da una coppia di piccoli monitor, con cono da 13 cm. e tweeter a cupola.
Reperire un impianto del genere non è affatto difficile: ecco la sequenza delle operazioni
da svolgere, per replicare la prova.
Occorre dapprima posizionare il piccolo monitor a terra, inclinato in modo di presentare la
risposta più lineare possibile: con un generatore di Rumore Rosa ed un piccolo
analizzatore (ma va bene anche un PC portatile) si potrà linearizzare al meglio la risposta
del monitor, impiegando un canale di un equalizzatore. A questo punto (utilizzando il
monitor come sorgente) si potranno rilevare le risposte dei microfoni, collocandoli su asta
ed alla stessa distanza dal monitor rispetto a quella che avranno nei confronti dei diversi
strumenti; l’equalizzazione avverrà (per quanto possibile) utilizzando i controlli di tono del
mixer. Per la voce risulterà prezioso un microfono omnidirezionale, del tipo da intervista.
Infine si potrà tentare di equalizzare la risposta nella regione d’incrocio dei 4 diffusori
amplificati: questa sarà, a dire il vero, la parte più difficile dell’impresa.
A questo punto il tocco finale: è il momento di assegnare -con coraggio- i singoli microfoni
ad un solo diffusore… e poi ascoltare. Io ricorderò sempre quei musicisti, eccezionali,
alzarsi a turno, stupefatti della resa dell’impianto: era veramente difficile, quasi impossibile,
anche per loro, distinguere le emissioni reali da quelle amplificate, anche per l’incredibile
ampiezza e tridimensionalità del fronte sonoro. Questo nonostante l’ignominia estrema di
tutti gli elementi dell’impianto (microfono della voce escluso).

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#9 Messaggio da F.Calabrese » venerdì 16 ottobre 2015, 18:01

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L’elenco delle “stranezze” dell’audio professionale è quasi interminabile: solo un accenno
alla serenità fideistica con cui si va –sempre- a missare decine e decine di canali su singoli
nodi di somma attivi, alimentati però alla stessa tensione (e quindi con la stessa dinamica)
dei singoli canali del mixer (analogico, ma per quelli digitali possono verificarsi altri e più
gravi problemi, in caso di sovraccarico). Oppure gli alimentatori degli amplificatori, che
sono progettati e dimensionati per operare da una rete a bassissima impedenza interna,
ma sono poi affiancati a centinaia. Per non parlare del caso in cui si è “inventata” la
soluzione di appendere 10 tonnellate di amplificatori insieme ai diffusori, per guadagnare
una frazione di deciBel (forse… ma per un ampli di normale potenza e rendimento, la
tensione e la corrente in ingresso non sono poi tanto diverse da quelle in uscita,
perlomeno da giustificare i costi e rischi –purtroppo esiziali- di una simile operazione).
Il problema –vero- dell’approccio moderno, non sistemico, è quello di imbattersi in
difficoltà insuperabili, quando si tenta di risolvere un problema senza però poter intervenire
sugli aspetti progettuali del “prodotto perfetto” di cui si dispone: dunque senza vie d’uscita.
Questo è appunto quel che accade per i problemi di inquinamento acustico, che è
veramente ardua impresa tentare di affrontare, se la configurazione dell’impianto è
“bloccata” in base ad un presupposto di tipo commerciale. Non dimentichiamo che gli
stessi che sostenevano la perfezione e l’insostituibilità dei sistemi “compatti”, si sono poi
convertiti, tutti, ai “Line Array”, con eguale e fideistico entusiasmo.
Il problema “inquinamento acustico” può costituire un’occasione unica per fermarsi
a riflettere, per una volta insieme, fonici e consulenti.
Le soluzioni tecniche che dovessero, un giorno, consentire di operare per un’estate intera
un impianto audio da concerto a qualche centinaio di metri dalle abitazioni, senza
sottoporre i residenti ad una specie di bombardamento acustico, sono le stesse soluzioni
tecniche in grado di ridurre da 10 a 40 volte il riverbero di un palasport.
Le soluzioni circuitali (e culturali) che permettono di dimensionare correttamente un
impianto audio, eliminando la necessità dei “limitatori”, che tanto danneggiano la qualità di
ascolto, sono le stesse soluzioni tecniche che permetterebbero di ripulire il percorso del
segnale, in un grande impianto, fino a conseguire quella risoluzione e naturalezza di
emissione che è del tutto praticabile, con le tecnologie di oggi (ma, forse, anche di ieri).
Nel corso dello studio che ha preceduto la redazione della Linea Guida APAT n.11, è
emersa un’evidenza che era, da anni, sostenuta dagli appassionati autocostruttori di
amplificatori esoterici: i “monotriodi” suonano diversamente e meglio, sia rispetto agli ampli
a transistor che rispetto ai finali a valvole di diversa configurazione. Ebbene quel che si
percepisce all’ascolto è possibile spiegarlo e misurarlo e, un giorno, applicare il tutto ai
grandi impianti da concerto…

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Re: Due parole sui Line Array e non solo...

#10 Messaggio da F.Calabrese » venerdì 16 ottobre 2015, 18:02

Ed infine...

La nuova prospettiva

Per il mondo dell’audio professionale, qui in Italia, si prospetta, dunque, un possibile
percorso di rinnovamento, che, nel rispetto di normative promulgate da tempo (oltre 10
anni) e pienamente vigenti, potrà vedere sostituite le configurazioni più “inquinanti” con
altre, talvolta più “tradizionali”, talvolta del tutto innovative.
Si è detto “possibile”, perché è noto a tutti quale inerzia caratterizzi questo particolare
comparto dell’audio professionale, che avrebbe potuto pervenire al rigetto dei “Line Array”
ben prima e per tutt’altro motivo, per esempio per l’inevitabile compromissione dell’ascolto
negli spazi riverberanti introdotta dalla presenza e dall’entità dei lobi di irradiazione laterali,
alle frequenze basse e medio-basse, oppure per il problema del rientro delle basse
frequenze sui microfoni, sul palco. Anche il costo del “Line Array” è da sempre motivo di
considerarne con maggiore attenzione la reale opportunità d’impiego.
Le problematiche ambientali connesse con l’impiego dei “Line Array” possono non essere
un problema per i grandi eventi, che sono episodici e si svolgono in orari accettabili, per la
popolazione soggetta alle immissioni. Diverso è il caso delle manifestazioni estive
all’aperto, caso in cui un impianto “Line Array” potrebbe essere collocato in area urbana o
residenziale ed operato sin quasi all’alba, come è la regola per questo tipo di eventi (che,
peraltro, hanno anche cadenza giornaliera, per tutto il periodo che va da metà giugno agli
inizi del mese di settembre). Le attuali leggi escludono che questo possa avvenire, ed è
solo la carenza dei controlli, anche a livello di semplice verifica delle Valutazioni d’Impatto
Acustico, a garantirne l’inosservanza, a danno della salute e del riposo della popolazione.
Le prospettive di rinnovamento, che l’osservanza di queste leggi aprirebbe, sono tutt’altro
che negative, dal punto di vista professionale, anche e soprattutto per chi già opera in
questo campo. Si tratta, infatti, di convertire le attuali figure professionali, mortificate dalla
scarsa versatilità dei “Line Array” e dalle tante illogicità e superstizioni, in una nuova figura,
in grado di plasmare la configurazione di ogni impianto nel rispetto delle migliori esigenze
di qualità d’ascolto, contenendo insieme le riflessioni negli spazi coperti e le emissioni
verso l’abitato. Sia consentito spezzare una lancia in favore. FINE

Cordialissimi Saluti
Fabrizio Calabrese

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