Genova 14/8/2018
Inviato: giovedì 16 agosto 2018, 14:04
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Grazie I_pisani_54l_pisani_54 ha scritto: ↑lunedì 20 agosto 2018, 14:56Aprrofitto per un intervento che spero possa aiutare i non esperti in ponti e strutture simili.
In questi giorni, in seguito al terribile crollo del viadotto di Genova, sui social si sono scatenati un mucchio di “esperti”, la cui unica esperienza nel campo delle costruzioni risale a quando da ragazzini, al mare, facevano i castelli di sabbia, con paletta e secchiello.
Colgo l’occasione per fare una piccola lezione, un po’ terra terra, e per questo non me ne vogliano gli strutturisti (non strutturalisti, che sarebbero i seguaci dello strutturalismo) di professione.
I ponti, escludendo quelli di legno fatti con due tronchi buttati sopra un fiumiciattolo, sono essenzialmente di tre tipi: in muratura, in cemento armato ed in ferro.
I primi sono i più antichi, visto che ce ne sono diversi che risalgono al tempo dei Romani, ma si sono continuati a costruire fino a relativamente pochi anni fa, quando la nuova tecnica del cemento armato, ne ha ridotto sempre più l’utilizzo.
La muratura, che sia a secco oppure “legata” con cemento, sabbia o altri materiali, ha una caratteristica che è anche il suo grande limite: resiste solo a compressione. Se comprimete un muro di mattoni, caricandolo assialmente da sopra, per romperlo dovrete applicare una forza tale che porti allo sbriciolamento dei materiali che lo compongono, se invece provate a tirare, i mattoni si staccheranno tra di loro quasi subito.
Per questo motivo, tutti i ponti in muratura, sono costruiti usando l’arco, che permette di avere una struttura caricata sempre a compressione in ogni sua parte.
Il vantaggio, oltre alla facilità di costruzione, è che il ponte lavora a gravità, e quindi, se le pietre (o i mattoni), messi una sull’altra non si sbriciolano, può rimanere in piedi anche 2000 anni.
Naturalmente un ponte sospeso, con una luce di 200 m, con questa tecnica ce lo sogniamo, ma per molto tempo, data la diversa mobilità umana, basata su spostamenti a piedi o, al massimo, a cavallo, era sufficiente che il ponte superasse qualche asperità del terreno o qualche corso d’acqua.
Per questo motivo, quelli che dicono “i ponti romani sono ancora tutti in piedi”, dovrebbero essere condannati ad abbandonare l’autostrada dopo Firenze e raggiungere Bologna percorrendo strade campestri, salendo e discendendo colline e montagne, seguendo il profilo sinuoso delle vallate, e scoprire così, che per completare quel tragitto ci vuole una giornata buona e non meno di un’ora.
Comunque, anche un ponte in muratura, se non viene regolarmente manutenuto, per esempio impedendo l’infiltrazione dell’acqua piovana che danneggia la malta tra le pietre o i mattoni, non è eterno. In ogni caso, i ponti romani, nei secoli sono stati ristrutturati e, in diversi casi, rifatti completamente, magari in seguito a crolli dovuti a piene o altro.
Veniamo ai ponti in cemento armato. Alla fine dell’800, si cominciò ad aggiungere al calcestruzzo (cemento, sabbia e acqua), un’armatura fatta di barre di ferro.
Questo comportò due vantaggi, il primo che a parità di sezione della struttura, la resistenza aumentava molto, perché il ferro sopportava carichi molto maggiori, quindi si potevano realizzare strutture più leggere e più snelle.
Ma quello che si rivelò fondamentale, fu il fatto che il ferro aveva la stessa resistenza a trazione ed a compressione, quindi, disponendo opportunamente le barre di ferro, si poteva andare oltre l’arco, che limitava fortemente la luce delle strutture, e realizzare impalcati rettilinei di notevole lunghezza.
Se provate a segare nel mezzo una trave in cemento armato, scoprirete che gran parte dell’armatura è disposta in basso, perché in quella zona, con i carichi che spingono dall’alto, nella parte inferiore la sezione risulta tesa e, se fosse realizzata semplicemente in muratura, crollerebbe probabilmente con il solo peso proprio della struttura.
Il cemento armato ha permesso la realizzazione di manufatti particolarmente arditi, con strutture relativamente leggere ed economiche, richiede però una attenta e costante manutenzione, anche perché è complicato vedere cosa succede nel tempo alle armature nascoste dal cemento.
Nel secondo dopoguerra si è sviluppata una ulteriore tecnologia, quella del cemento armato precompresso (abbr. Cap), usata prevalentemente per travi e impalcati di ponti di notevole lunghezza, di cui Morandi è stato uno dei massimi esperti.
Spiegando sempre in maniera terra terra, invece di inserire delle barre di ferro, si usano dei cavi d’acciaio che vengono preventivamente tesi, praticamente “caricando” l’intera struttura.
Il tutto viene realizzato in stabilimento e portato a destinazione su grossi camion, vi sarà sicuramente capitato di incontrare in autostrada dei trasporti eccezionali con delle gigantesche travi di cemento.
Nei casi più complessi, come sicuramente è accaduto per il viadotto di Genova, se gli elementi sono intrasportabili, si provvede alla costruzione direttamente in cantiere.
La tecnica del precompresso permette di aumentare notevolmente la resistenza della struttura, a parità di peso e, oltre una certa lunghezza, è l’unica possibilità per non ricorrere alla costruzione in ferro.
Il viadotto di Genova aveva la struttura dei piloni in cemento armato, mentre erano sicuramente realizzati in cap, gli impalcati e gli stralli.
Il ponte ha sempre avuto una manutenzione “laboriosa”, in quanto opera particolarmente complessa, e che usava una tecnica assolutamente nuova per quei tempi, con l’aggravante dell’enorme aumento del traffico e quindi dei carichi nel corso degli anni.
Probabilmente oggi, se Morandi fosse vivo, alla luce delle successive esperienze, lo realizzerebbe in maniera diversa (azzardo, magari con gli stralli in acciaio), ma se è venuto giù dopo ben 50 anni, è stato certamente un problema di manutenzione, non un errore di calcolo.
I giornali, alla ricerca dei titoloni, sono andati alla caccia dei ponti gemelli, individuandone altri due: quello di Maracaibo ed un altro costruito in Libia, dimenticando quello sul Tevere, sul raccordo che porta all’autostrada per Fiumicino, meno imponente ma con la stessa tipologia strutturale, come se ci fosse un difetto insito nella loro forma.
A quanto riporta la stampa, il primo sarebbe crollato negli anni ‘60, mentre il secondo sarebbe stato chiuso.
Il ponte di Maracaibo subì molti anni fa un crollo parziale perché urtato da una petroliera e suppongo che sia stato ripristinato, perché le immagini di Goolge Maps del 2018 lo riportano intero e con le auto che lo attraversano, lo stesso dicasi per quello libico.
Quindi un mucchio di inesattezze, oltre alla considerazione che in sede di progetto si possono prevedere vento, terremoti ed altri accidenti naturali, ma non certo gli scontri con le petroliere.